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Catalunya Religió
Fotografia: Mingo Venero | Càritas Barcelona.
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(Ignasi Escudero –CR) Le persone in condizioni amministrative irregolari devono superare una corsa a ostacoli per accedere a diritti sociali basilari come il lavoro o la casa. Caritas Barcellona denuncia che ci sono “frontiere invisibili che condannano a una cittadinanza di serie B” e rivendica una legge sull’immigrazione adeguata alle necessità di mobilità attuali delle persone. Chiede anche di semplificare il sistema di prenotazioni e di facilitare l’iter burocratico di immigrazione senza tasse di emissione. Infine, chiede di consentire la registrazione senza dover dimostrare di possedere un titolo di proprietà o un contratto d’affitto e di garantire percorsi sicuri di migrazione.

Sono alcune delle proposte del report “Frontiere in-visibili” dedicato a “Come l’irregolarità amministrativa ti stronca il progetto di vita”, appena pubblicato dall’Osservatorio della realtà sociale della Caritas diocesana di Barcellona e presentato giovedì.

Salvador Busquets, direttore di Caritas Barcellona, ha sottolineato che il ruolo delle comunità cristiane è fondamentale come elemento di solidarietà per accogliere e promuovere la rete di supporto ai migranti: “Il riconoscimento come residenti delle persone migrate nelle nostre comunità parrocchiali fa sì che sorgano iniziative preziose di sostegno e reciproco orientamento”.

Le persone arrivano nel nostro paese fuggendo da povertà o violenza, “sono uscite d’emergenza” ha affermato Miriam Feu, responsabile di Analisi sociale e incidenza dell’Osservatorio. Una volta giunti, si trovano davanti una “corsa a ostacoli” per regolarizzare la propria situazione e avere una vita degna. Feu ha sottolineato che l’”esclusione sociale triplica nelle famiglie di origine extracomunitaria” e la disoccupazione è doppia rispetto agli spagnoli. Una disuguaglianza che si accentua soprattutto nel diritto alla casa. Secondo l’economista, “7 migranti su 10 si trovano in condizioni di esclusione abitativa” e cercano alternative in stanze in affitto, in subaffitti o in situazioni di sovraffollamento.

Feu ha denunciato l’assenza di statistiche ufficiali sulla popolazione migrante giunta nell’ultimo anno. Secondo alcune stime, circa 100.000 persone sono giunte in Catalogna negli ultimi 12 mesi ma l’assenza di cifre pubbliche dimostra che “questa gente è invisibile, non esistono nemmeno nelle statistiche”.

La situazione si è aggravata con la pandemia. È il caso di una testimone, assistita da Caritas Barcellona, che per motivi di sicurezza è voluta restare anonimo. È arrivata a Barcellona pochi giorni prima dello stato d’allerta, fuggendo dalle minacce ricevute nel suo paese, la Colombia. Vedova e con figli a carico, questa persona è stata alcuni giorni in un albergo finché non è rimasta senza soldi per pagare. Attualmente dorme in un bar, chiuso per la situazione sanitaria, e lavora in nero assistendo anziani quando la chiamano. È consapevole che “la gente si approfitta perché non ho documenti e mi paga di meno” ma in ogni caso preferisce “questa situazione alla violenza della Colombia”.

“Sono i nostri vicini, padri e madri dei compagni di classe dei nostri figli” riassume Feu, che ha introdotto anche la testimonianza di Angela Sierra, richiedente asilo che dopo aver ottenuto un lavoro e raggiunto una stabilità nell’affrontare la vita familiare, ha visto la sua vita distrutta dal rifiuto della domanda di protezione internazionale. Sierra, colombiana, ha detto che “senza permesso di lavoro né conto corrente si perde tutto, è come non esistere per la Spagna”.

La direttrice del programma di migrazione, Elisabet Ureña, ha mostrato alcuni dati sorprendenti sulla realtà dei richiedenti asilo. Oltre metà sono respinti e archiviati, soprattutto nel caso dei colombiani che nell’ultimo anno si sono viste respingere 39.000 richieste. “Solo il 4,57% delle domande sono accolte con la concessione delllo status di rifugiato e la protezione sussidiaria” ha spiegato Ureña.

Infine, nel caso della protezione dei minori non accompagnati, si chiede di estendere i benefici fino a 23 anni invece di 21. Da alcuni mesi, trincerandosi dietro la Legge sull’Immigrazione, i requisiti per rinnovare i permessi di soggiorno dei giovani che hanno goduto di tutele sono molto più restrittivi. Un’entrata di 2500 euro mensili, anche senza avere permesso di lavoro, è la clausola che “farà cadere nell’irregolarità amministrativa” molti giovani che sono diventati maggiorenni stando in strutture protette. Ureña ha affermato che questi giovani “devono avere le stesse condizioni dei bambini e dei ragazzi che sono arrivati nel paese per ricongiungimento familiare” e non termini così categorici come quelli imposti negli ultimi mesi.

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