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Catalunya Religió

(Jordi Llisterri –CR) Il 21 gennaio si sono compiuti 25 anni dall’apertura del Concilio Provinciale Tarraconense nella Cattedrale di Tarragona. È l’avvenimento più importante e che ha mobilitato gli sforzi maggiori degli ultimi tempi nella Chiesa catalana. Del Concilio se n’è parlato molto ma dopo 25 anni non si ricordano molte cose. Abbiamo redatto una sorta di manuale di istruzioni per aiutare a comprendere di cosa parliamo quando ci riferiamo al Concilio del 1995.

1. Cos’è un Concilio provinciale?

È una riunione di vescovi con capacità legislativa. Cioè le risoluzioni sono vincolanti per i vescovi che vi partecipano, anche se qualcuno non fosse d’accordo con le decisioni prese. E’ una riunione di vescovi della stessa provincia ecclesiastica. A differenza dei concili universali, possono assumere decisioni solo su questioni in cui i vescovi hanno competenza nella loro diocesi. Non possono contraddire le norme della S. Sede o, nel caso del Concilio Tarraconense, la dottrina del Concilio Vaticano II. Pertanto, i concili provinciali si focalizzano più su questioni organizzative o di applicazione di quanto convenga al proprio territorio. La singolarità consiste nel fatto che un gruppo di vescovi prende decisioni congiunte per agire in maniera coordinata su un territorio o una realtà culturale e linguistica ben determinata. Per adottare tali decisioni devono ascoltare anche il parere dei diversi organismi diocesani.

2. Cos’è una provincia ecclesiastica?

Il termine provincia non ha alcuna valenza politica ma è stato ereditato dall’organizzazione romana. Una provincia è il territorio che raggruppa le diocesi vincolate a un’arcidiocesi e che di questa si definiscono suffraganee. In Catalogna ci sono due province ecclesiastiche. Quella di Tarragona ha come suffraganee Girona, Lleida, Solsona, Tortosa, Urgell e Vic. Fino al 1964 dipendeva da Tarragona anche la diocesi di Barcellona. Dal 15 giugno 2004 Barcellona è una nuova provincia ecclesiastica con le diocesi suffraganee di Sant Feliu de Llobregat e Terrassa, con un territorio che in precedenza faceva parte di Barcellona. Tuttavia, quando fu celebrato il Concilio era un’unica arcidiocesi. Attualmente l’arcivescovo (o metropolita) ha alcune funzioni, molto limitate, sul resto delle diocesi e teologicamente ha la stessa importanza degli altri vescovi. Però ha un grado ecclesiastico superiore e in alcuni casi può intervenire su temi che riguardano le diocesi vincolate.

3. Da quando si fanno i Concili tarraconensi?

La celebrazione di un Concilio non è una novità per le diocesi catalane. Il primo Concilio Tarraconense documentato risale al 380. Nel 1154 viene ripristinato l’arcivescovado di Tarragona al termine della dominazione musulmana e inizia il periodo in cui i concili diventano la forma consueta di pianificazione congiunta tra i vescovi dipendenti dalla Tarraconense. Oltre a tutti i vescovi della Catalogna, comprendeva, con diverse varianti lungo la storia, alcuni territori spagnoli. Fino al Trattato dei Pirenei vi partecipavano anche i vescovi della Catalogna Nord. L’ultimo Concilio Tarraconense fu convocato nel 1757. Per la sua forza legislativa, le successive ingerenze della monarchia finivano per trasformare queste riunioni in uno strumento più politico che pastorale e i vescovi smisero di convocarli. Devono passare 235 anni, fino al 29 novembre 1992, prima che l’arcivescovo Ramon Torrella convochi ufficialmente un Concilio provinciale. Dopo il Vaticano II (1965) gran parte delle funzioni dei concili provinciali furono assorbite dalle Conferenze episcopali. Sono organismi formati di solito dai vescovi di uno Stato, malgrado alcune eccezioni come la Scozia. Nel corso della storia sono documentati 175 Concili della Tarraconense, che ne fanno una delle province con maggior tradizione conciliare.

4. Perché fu convocato il Concilio nel 1995?

I motivi furono diversi ma fu soprattutto una decisione dell’arcivescovo di Tarragona mons. Ramon Torrella. Nel 1969 si cominciò a riunire regolarmente la Conferenza Episcopale Tarraconense, convocata per la prima volta dall’arcivescovo Josep Pont i Gol. Vi si integrò anche l’arcivescovado di Barcellona, malgrado giuridicamente non facesse parte della Provincia. Da allora la Tarraconense ha usato il nome di Conferenza episcopale, nonostante non lo fosse formalmente e i suoi vescovi facessero parte della Conferenza Episcopale Spagnola. Ma si instaurò una dinamica di lavoro comune dei vescovi catalani e la pubblicazione di documenti e prese di posizione pubbliche come tali si è mantenuta fino ad oggi. La pubblicazione, nel 1985, del documento “Radici cristiane della Catalogna” e la struttura che si era andata formando della Conferenza Episcopale Tarraconense hanno riproposto la necessità di rilanciare un progetto pastorale congiunto delle diocesi catalane. E soprattutto di dare una risposta più chiara e comune al rinnovamento ecclesiale scaturito dal Vaticano II che ha cambiato la pratica pastorale in Catalogna. In base a tali elementi il 4 maggio 1992 mons. Torrella annunciò a sorpresa che avrebbe convocato il Concilio, durante un incontro di sacerdoti a l’Espluga del Francolí. Fu il giorno in cui i preti lo applaudirono di più. Ufficialmente il Concilio fu convocato il 29 novembre 1992 e tra le finalità principali c’era quella di “rinnovare e mobilizzare tutte le energie e tutta la capacità di azione delle nostre diocesi”.

5. Quanto durò il Concilio?

Le sessioni si svolsero dal 21 gennaio al 4 giugno 1995, quando la cattedrale di Tarragona ospitò le cerimonie di apertura e chiusura. Da febbraio a maggio si tennero le sessioni di lavoro in 8 fine settimana al Casal Borja di Sant Cugat del Valles. Ma il lavoro conciliare iniziò molto prima. Nel 1993 si tenne la prima tappa preparatoria e di consultazione, organizzata da una commissione interdiocesana. Furono redatti quattro documenti che riunivano i temi e formulavano diverse proposte. Nel 1994 ogni vescovo fece una seconda consultazione attraverso gruppi per dibattere sui temi del Concilio. Con tutti questi contributi, quattro commissioni tematiche redassero le proposte da dibattere, emendare e votare nelle sessioni conciliari. Al termine, i vescovi prepararono il documento definitivo delle risoluzioni da inviare alla S. Sede, che le approvò il 5 giugno 1996.

6. Quanta gente partecipò?

La tappa che ha visto la maggior partecipazione, oltre 60.000 persone, fu quella preparatoria per scegliere gli argomenti. Chiunque avesse voluto, anche al di fuori dell’ambito ecclesiale, avrebbe potuto proporre argomenti e orientamenti al Concilio. Alla seconda consultazione lavorarono 3.153 gruppi che riunirono oltre 42.000 persone. Il 48% erano laiche, il 30% laici e il resto sacerdoti, religiose e religiosi. Dunque oltre metà di coloro che hanno lavorato ai contenuti del Concilio furono donne. Nell’aula conciliare erano presenti quasi 200 persone, delle quali 143 con diritto di voto.

7. Chi scelse i membri del Concilio?​​​​​​​

Vi partecipò tutto l’episcopato catalano: l’arcivescovo di Tarragona, Ramon Torrella, presidente; l’arcivescovo di Barcellona card. Ricard Maria Carles, copresidente; i vescovi di Girona, Jaume Camprodon; Lleida, Ramon Malla; Solsona, Antoni Deig; Tortosa, Lluís Martínez Sistach; Urgell, Joan Martí Alanis; Vic, Josep M. Guix; i vescovi ausiliari di Barcellona Carles Soler (segretario generale), Joan Carrera, Jaume Traserra, Pere Tena e Joan-Enric Vives. Degli emeriti l’ausiliare di Barcellona Ramon Daumal e un rappresentante del cardinal Narcís Jubany. Dopo 25 anni è ancora in carica solo mons. Vives, vescovo di Seu d’Urgell. Gli unici altri in vita sono il card. Sistach e mons. Soler. Degli altri membri con diritto di voto, 78 furono eletti da diversi organismi: 16 dai consigli pastorali diocesani (10 laiche, 5 laici e un sacerdote); 16 sacerdoti eletti dai consigli presbiteriali; altrettanti eletti dai canonici delle cattedrali; 30 rappresentanti dei religiosi (21 donne e 9 uomini). Altri 29 sacerdoti parteciparono in ragione della loro carica: 22 vicari generali e episcopali, il decano della Facoltà di Teologia della Catalogna, 6 rettori di seminari. Gli altri furono nominati direttamente dai vescovi: gli abati di Montserrat e Poblet; il vicario dell’Opus Dei in Catalogna; 14 laici (tra cui due seminaristi), 10 laiche, 4 suore, 4 sacerdoti e un religioso. In totale 143 persone: 15 laiche, 24 laici, 13 religiosi, 25 religiose e 66 sacerdoti (103 uomini e 40 donne).

8. Il Concilio fu un’assemblea?

Non esattamente. Un concilio provinciale è un’assemblea di vescovi e sono loro che alla fine approvano i testi definitivi, che poi vanno confermati dalla S. Sede. Però nelle sessioni di un concilio, per ragioni diverse, possono partecipare più persone con diritto di voto. Nell’aula conciliare furono discusse e votate 192 proposte. 18 respinte, 44 approvate a maggioranza assoluta e 130 a maggioranza qualificata. Le proposte potevano anche essere emendate per essere sottoposte a nuova votazione. Tutto ciò non fu casuale. I testi sottoposti a votazione erano formulati in base al dibattito. E il documento conclusivo non subì praticamente modifiche. Questo rispose alla dinamica assembleare e partecipativa che creò il Concilio. Da una parte, c’era stato un lavoro partecipativo previo di oltre 60.000 persone. Dall’altra, a Sant Cugat si lavorava in gran parte per commissioni.

9. Cosa approvò il Concilio Tarraconense?

Furono approvate 174 risoluzioni che nel documento finale furono raggruppate in 170 punti. Facevano riferimento ai quattro temi del concilio: evangelizzazione e rapporti con la società; sacramenti e Bibbia; azione sociale ed emarginazione; coordinamento e strutture comuni tra diocesi. Lo “spartito” del Concilio è in totale continuità con il rinnovamento del Vaticano II. Cosa importante perché fu celebrato in un’epoca in cui molti avrebbero voluto sotterrare il Concilio di Giovanni XXIII. Riletto oggi, il Concilio Provinciale si collega perfettamente alle intuizioni di Papa Francesco.

10. Chi approvò i documenti conciliari?

Il 12 luglio 1995 i vescovi terminarono il documento finale e lo presentarono alla S. Sede per l’approvazione (“recognitio”). I diversi temi trattati fecero sì che i testi fossero rivisti da quasi tutti i dicasteri. Nel gennaio 1996 ci fu la prima risposta con la richiesta di chiarimenti da parte della Congregazione per i vescovi, che gli ordinari catalani inviarono in meno di un mese. La “recognitio” arrivò solo il 5 giugno 1996. La maggior parte dei testi non subì alcun cambiamento sostanziale. Ma che la revisione fu approfondita lo dimostra il fatto che la S. Sede corresse addirittura una citazione a piè di pagina perché si resero conto che era sbagliata. Al contrario, i ritocchi più importanti riguardarono tutto ciò che si riferiva al coordinamento tra i vescovi e la formula giuridica che bisognava dare all'autonominata Conferenza Episcopale Tarraconense. La risoluzione 142 invita i vescovi catalani a cercare “di trovare, d’accordo con la Conferenza Episcopale Spagnola, la corrispondente soluzione giuridica”. Negli anni successivi sono state avanzate diverse proposte che non hanno avuto seguito. Semplicemente, è stato mantenuto lo status quo. Tuttavia, il Concilio ottenne due cose importanti. La S. Sede aggiunse una “nota esplicativa previa” che affermava come l’espressione Conferenza Episcopale Tarraconense non corrispondeva alle competenze di una Conferenza episcopale ma poiché si prevedeva di trovare una soluzione giuridica, permetteva, nell’attesa, che si continuasse a parlare di Conferenza Episcopale Tarraconense. Ed è così da 25 anni. Inoltre, le proposte approvate citano diverse volte il documento “Radici cristiane della Catalogna” che riconosce la storia, la lingua e “la realtà della nazionalità catalana”. Per questo i vescovi scelsero di aggiungere questo documento del 1985 alle risoluzioni conciliari, ottenendo che fosse l’unico documento congiunto dei vescovi catalani rivisto e approvato dalla S. Sede, malgrado qualcuno dica che è un testo nazionalista..

11. Quanta risonanza ha avuto il Concilio?

Molta. Sicuramente sono gli anni in cui la Chiesa in Catalogna ha avuto maggior proiezione nel dibattito pubblico. Ed era ancora l’epoca dei fax, delle foto analogiche e delle videocassette. Ovviamente i mezzi di comunicazione si fissarono sui temi più polemici e di richiamo, che forse non erano l’essenza del Concilio. Ma si trasmise un’immagine di dialogo, dibattito aperto e rinnovamento che non si vedeva dal Concilio Vaticano II. Senza dubbio la dimensione mediatica fu molto polarizzata da ciò che poteva avere risvolti politici. Sul tema della Conferenza episcopale catalana il Concilio fu molto strumentalizzato politicamente. Certa stampa di Madrid lo segnalò subito come una minaccia secessionista e certa stampa catalana ne fece una bandiera. Niente di nuovo. Ma fu l’argomento su cui si registrarono le modifiche più significative al documento finale e mons. Joan Carrera ammise che aveva provocato malumori al vertice della Conferenza episcopale spagnola. Addirittura fu motivo di polemica pubblica tra il card. Carles e l’arcivescovo Torrella. Infine, alla chiusura del Concilio, il discorso del nunzio Mario Tagliaferri riaccese le polemiche parlando di "particolarismi" e "nazionalismo esacerbato" con una citazione di Giovanni Paolo II, che si riferiva alla situazione nei Balcani (tuttavia, ben prima dell’ottobre 2017). E ricordò letteralmente che "l'unità pastorale (...) non deve avere alcun significato politico". Proprio ciò che avevano cercato di evitare i vescovi catalani.

12. Cosa resta del Concilio Provinciale?​​​​​​​

Questo è tutto un altro tema. Un anno dopo la fine del Concilio si ritirò Torrella, e lo stesso accadde in poco tempo alla maggior parte dei vescovi che ne furono protagonisti. Dei 13 vescovi catalani attuali solo 4 parteciparono alle sessioni conciliari (Pardo e Cristau come sacerdoti, Novell seminarista e Vives come ausiliare). Degli oltre 80 sacerdoti e religiosi presenti allora solo tre sono stati eletti vescovi (in 25 anni sono state fatte 20 nomine episcopali in Catalogna). Quattro degli attuali vescovi non erano neppure in Catalogna quando si celebrò il Concilio. Tuttavia, vale l’ottimismo che ha trasmesso mons. Soler, allora segretario generale del Concilio, nel foglio domenicale di questa settimana: “Possiamo dire che il nostro Concilio Tarraconense è ben vivo perché è ben vivo il Concilio Vaticano II, malgrado gli attentati che ha ricevuto e riceve (…) non sono state ancora realizzate tutte le risoluzioni conciliari né tutto quello che le 170 risoluzioni segnalavano e suggerivano. Resta molto da fare e dobbiamo sempre aspirare ad essere migliori. E il mondo, la società che dobbiamo evangelizzare e servire, ci presenta nuove sfide. I principi teologici e gli aneliti apostolici che conformano le risoluzioni del 1995 sono pienamente valide e possono essere feconde”.

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