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Catalunya Religió
[Foto: Jordiventura96 sota llicència CC 4.0]

(Valentina Laferrara –CR) Le manifestazioni per l’arresto del rapper Pablo Hasél hanno coinvolto nelle ultime settimane migliaia di persone in diverse città della Catalogna. E hanno messo i giovani al centro del dibattito pubblico. In questo scenario, Catalunya Religió ha organizzato una tavola rotonda con cinque giovani impegnati in diversi movimenti e associazioni sociali ed educative della Chiesa. Obiettivo: conoscere direttamente cosa pensano di questa mobilitazione e quali sono i loro sentimenti, bisogni, paure e desideri per il futuro

Tutti hanno concordato che le manifestazioni non sono solo uno strumento per reclamare la liberazione del rapper ma anche per esercitare la libertà di espressione. “È un diritto che tutti dovremmo rispettare, non c’è scusa per limitarlo” sostiene Carme, 20 anni, studentessa di Filosofia che ha intenzione di diventare insegnante per trasmettere agli studenti l’importanza di avere un punto di vista critico. Ha preferito mantenere l’anonimato come pure per l’associazione a cui è legata.

“Mi sembra giusto che ognuno esprima quello che vuole e che sente” afferma Kevin, 18 anni, che studia in un progetto dei Salesiani di S. Jordi – PES a Lleida. “Quello che non mi sembra giusto è incendiare le cose perché credo che la città, le moto e i poliziotti non abbiano alcuna responsabilità”. Kevin vuole diventare pompiere per aiutare le persone ed essere presente quando serva.

Nemmeno Alberto, studente di Architettura di 23 anni e responsabile di un centro ricreativo a El Prat de Llobregat, è d’accordo con i violenti scontri degli ultimi giorni. Però insiste sul fatto che non bisogna generalizzare perché i disordini non rappresentano la maggioranza della protesta. E critica che, come è successo con la seconda ondata della pandemia, si sia tornati a incolpare i giovani della crisi collettiva.

“Mi fa rabbia che si criminalizzino queste manifestazioni invece di riflettere sul perché stanno avvenendo” dice sulla stessa linea Mar, criminologa di 24 anni e tecnica della JOC Nacional de Catalunya i les Illes (Gioventù operaia cristiana di Catalogna e Baleari) dove promuove il legame tra diverse associazioni giovanili.

Tutti concordano sul fatto che la partecipazione dei giovani alle proteste è sintomo del malessere che vivono riguardo alle azioni della polizia e della classe politica, oltre che della crisi sociale ed economica accentuata dalla pandemia. “Il caso di Pablo Hasél è la scintilla che fa bruciare i sentimenti di rassegnazione dei giovani” spiega Arnau, 23 anni, responsabile di Esplai Estel, struttura dei claretiani situata all’Eixample di Barcellona, che frequenta un master in Gestione d’impresa ed economia sociale.

Mar sostiene che i giovani “sono arrabbiati, indignati, tristi e depressi” perché “sentono di essere stati messi da parte”. Afferma che dall’inizio della pandemia hanno visto limitate le loro possibilità di condividere le proprie opinioni, i sentimenti e i desideri e “questo si nota” nelle manifestazioni degli ultimi giorni.

“Non si considerano i giovani come parte fondamentale o imprescindibile della società” afferma Arnau. “L’arresto di Hasél – conclude Carme – è una scusa per chiedere molte altre cose” legate “alla crisi generale che da molto tempo cova a Barcellona”. Tra le altre questioni, gli sfratti, la crisi abitativa e la disoccupazione giovanile.

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