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Catalunya Religió

(Jordi Llisterri –CR) Sabato 24 ottobre si commemorano i 150 anni della morte di S. Antonio Maria Claret. Nato a Sallent nel 1807, missionario in Catalogna e nelle Canarie, fondatore a Vic nel 1849 della congregazione dei Missionari figli del Cuore Immacolato di Maria, arcivescovo a Cuba e infine confessore della regina Isabella II fino alla morte in esilio nel 1870. Questo anniversario coincide con la nascita della nuova provincia claretiana di San Paolo, che riunisce le comunità di Catalogna, Paesi Baschi, Francia e Italia. Da gennaio il provinciale è Ricard Costa-Jussà.

Perché padre Claret morì in esilio?

Antonio M. Claret morì esiliato a Fontfreda, nel sud della Francia, per la sua fedeltà a quanto gli era stato affidato. Dopo essere stato arcivescovo di Cuba dal 1850 al 1857, negli ultimi anni della sua vita fu nominato confessore della regina. Diceva che a palazzo si sentiva “come in gabbia” perciò si rifiutò di viverci e abitò nella comunità claretiana di Montserrat a Madrid. Durante tutto il periodo al servizio di Isabella II seppe cercare sempre l’elemento missionario e gli servì per poter andare a predicare in diversi posti in Spagna quando accompagnava la regina. Era a disposizione della missione per tutto il tempo in cui era libero dal suo incarico. È quanto ha fatto tutta la vita, nelle missioni popolari, nelle Canarie, a Cuba… cercava sempre il modo di evangelizzare. Con la rivoluzione del 1868, coerentemente con la sua responsabilità, accompagnò la regina in esilio. Alla frontiera i reali si diressero a Parigi e lui ritenne concluso il suo incarico. Si rifugiò prima a Prades e, con una salute già malferma, l’accolsero nell’abbadia cistercense di Fontfreda. Furono giorni di testimonianza, di malattia, ben documentati perché l’accompagnava padre Jaume Clotet, cofondatore dei claretiani. Vi morirà il 24 ottobre 1870 e vi sarà sepolto fino alla traslazione a Vic.

La tomba attuale è molto recente

Sì. Si può dire che l’itinerario missionario di Claret ha addirittura un percorso funebre. Il suo corpo fu portato a Vic nel 1897 ma prima della beatificazione nel 1934 lo dovettero nascondere a Santa Eugenia de Berca nel 1932. Lo stesso accadde durante la guerra civile, in cui fu distrutta la chiesa di Vic. Quella nuova fu inaugurata nel 1970 ma la traslazione non avvenne fino al 1999, nell’attuale sepolcro della cripta, opera di Domènec Fita. Claret fu perseguitato e calunniato mentre era in vita per i servizi che rendeva ma fu perseguitato quasi di più da morto da rivoluzioni e guerre.

Nel 1849 fondò in una cella del seminario di Vic la congregazione dei Missionari figli del Cuore Immacolato di Maria ma poco dopo fu nominato arcivescovo di Cuba. Padre Claret continuò a lavorare come membro della congregazione?

Non lasciò mai la congregazione, era la sua opera. Però in ogni momento, quando gli domandavano della “sua” congregazione, metteva in chiaro che la congregazione aveva un superiore che gli era succeduto. Padre Esteve Sala nei primi dieci anni e poi padre Josep Xifré. Claret chiariva che non era il superiore della congregazione ma l’assisteva in tutto quello che gli veniva richiesto e i superiori generali erano in continua relazione con lui.

Anni dopo la morte di Claret, i Missionari figli del Cuore Immacolato di Maria sono diventati noti come claretiani.

L’importante è che parliamo di “missionari claretiani”. Va tutto insieme. E ci sono missionari claretiani laici, sacerdoti, fratelli, diverse branche della famiglia claretiana…. Ma parliamo sempre di missionari. In circostanze storiche in cui la Parola non era predicata, in cui non era annunciata nella lingua del popolo, Claret cercò il modo di far arrivare a tutti la Parola di Dio. Questa inquietudine gli fece scoprire cosa vuole un “gregge” di missionari. E questo lo fece riunire con altri sacerdoti con la stessa inquietudine e fondare la congregazione. Al momento della fondazione erano cinque e lui già diceva che nasceva una grande opera. Ora siamo più di 3000 missionari claretiani in 68 paesi.

E cosa avete in comune?

Padre Claret cercava una congregazione per la missione. E non solo questo ma che tale missione rispondesse a quello che era “più urgente, più opportuno e più efficace”. Dobbiamo essere creativi, stare attenti ai tempi. L’importante non è una struttura, che dev’esserci, né una modalità unica e concreta. L’importante è la predicazione, che la Parola sia annunciata e che Dio sia conosciuto. Questo ci ha caratterizzato e ci ha portato a una pluralità di opere. In funzione dei bisogni e delle urgenze.

Per questo i claretiani non si dedicano solo a un settore specifico?

Ci sono congregazioni caratterizzate da una sola opera o con un’opera principale. Per noi il servizio è la missione. Questo annuncio ha campi molto diversi.

Negli ultimi anni la congregazione è cresciuta molto in altri continenti come l’Asia ed è un’organizzazione molto più internazionale. Le origini catalane continuano ad avere importanza?

La provincia di S. Paolo con il territorio della Catalogna continua a custodire i luoghi claretiani di riferimento. Vic, fonte e cenacolo della congregazione. Sallent, paese natale. La tomba. Però questi luoghi sono vitali in quanto legati a tutta una vita di presenza claretiana. Non conserviamo pareti tanto per farlo. Sono posti importanti perché hanno sempre avuto vita. E questa vita è stata radicata nella sua missione. Ora sono soprattutto luoghi di formazione, di incontro... si è voluto che pedagogicamente e per i servizi offerti questi posti trasmettessero cosa significa la vita di Claret e della congregazione. È stata anche una scommessa collocare a Vic il Centro di Spiritualità Claretiana con un’equipe di persone di tutti i continenti. Ci aiuta a vedere Claret da diverse culture e tornare alle radici per non tradirle.

Il 1º gennaio è partita ufficialmente la nuova provincia di San Paolo. Si è trattato di unificare diverse province perché siete di meno?

Dagli anni 90 la congregazione si è posta l’obiettivo della riorganizzazione a livello mondiale. Si è proceduto per continenti e l’Europa è stata l’ultima. Bisogna riconoscere che oggi l’Europa ha missionari di età avanzata e che la crisi vocazionale è forte. Ma siamo un buon numero: 675 in tutta Europa. In questo quadro si è scelto di creare la provincia di San Paolo formata dalle precedenti province di Catalogna, Paesi Baschi e Navarra e dalle delegazioni di Francia e Italia. Ci sono anche la provincia di Santiago che riunisce Aragona, Castiglia, Valencia fino alla Galizia, e quella di Fatima con il sud della Spagna, Portogallo e Irlanda. È in arrivo la nuova provincia dell’Est Europa. Abbiamo optato per questo, malgrado i limiti e le difficoltà che comporta, ma pensando alla pluralità della presenza missionaria in Europa. Non è solo un fatto numerico. L’Europa, che era stata molto ricca nella donazione di missionari, era anche formata da province con territori molto piccoli. È un riequilibrio.

C’è sempre di più una presenza di missionari claretiani extraeuropei. La scorsa settimana a Vic sono stati ordinati tre claretiani della provincia di San Paolo, uno indonesiano e due indiani.

La vita missionaria è sempre itinerante. È sempre accaduto. L’Europa ha missionari in tutto il mondo, tutti conoscono Pere Casaldàliga come missionario. E ora lo viviamo in Europa. Coincide con un’Europa più plurale e diversa da quella di prima. Questa diversità, che a volte ci sorprende sul piano ecclesiale, su quello sociale è già presente nelle strade e nei quartieri. Certamente il servizio missionario e l’interculturalità devono essere sempre accompagnati dall’inculturazione. Significa: io lavoro qui, la mia missione è qui. Ci metto tutta la mia ricchezza e la mia vita però mi inculturo come qualsiasi missionario che va lontano. Nella storia missionaria questo cammino è già stato percorso.

Al di là della secolarizzazione dilagante, nel caso dei claretiani, perché pensa che non ci sono vocazioni in Europa?

Certamente il calo di vocazioni in Europa è importante. Questo ha a che vedere con due elementi. Uno è la riduzione della realtà cristiana. Prima per il solo fatto di nascere in Europa eravamo cristiani mentre ora è un’opzione. Viviamo in un contesto plurale e forse lo viviamo ancora con criteri superati. L’altra questione è che suscitare vocazioni è lavoro di una comunità. Evidentemente, se il Signore chiama e l’altro non è sordo e risponde, la vocazione è solida. Oggi vediamo che molte cose che fa un sacerdote o un religioso si completano con la funzione del laico battezzato. E dopo un’epoca molto clericalizzata, ora bisogna svegliare la vocazione dei laici. Ma che non succeda il contrario: che risvegliare il protagonismo dei laici ci privi di vedere la necessità della vita consacrata e sacerdotale.

Perché un giovane d’oggi dovrebbe diventare claretiano?

Deve diventarlo se sente la chiamata. Perché vale la pena? Perché vale la pena ogni scelta di donare la vita per amore e per servire gli altri. La vocazione claretiana è un impegno a donare la vita. Una donazione che mi rende felice e mi dà gioia. Una vocazione comunitaria, agire con gli altri nella congregazione e con la Chiesa.

E le peculiarità della vocazione claretiana?

Il claretiano dev’essere qualcuno che faccia un’esperienza di innamoramento e relazione personale con Dio, affascinato dalla Parola di Dio. E con una dimensione mariana. Condividere questa esperienza vissuta mi porta a una donazione al servizio della missione.

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