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Catalunya Religió

(Claretiani) Le persone private della libertà in questi giorni soffrono un doppio isolamento. “Che succede dentro? Non lo so, non abbiamo contatti, ma siamo davvero interessati” dichiara il missionario claretiano Josep Vilarrubias. È uno dei volontari che da tre anni visita il Centro Penitenziario di Ponente, nel comune di Lleida. In precedenza, era stato a Brians e vivendo nella comunità claretiana di Sallent, visitava i detenuti di Lledoners. Complessivamente, circa 20 anni di cammino accanto a tante persone escluse.

La crisi sanitaria innescata dal coronavirus ha causato la chiusura delle visite di volontari e sacerdoti nelle prigioni. Sommato al normale divieto di uso di cellulare e internet, il contatto con l’esterno si è ridotto al minimo. Diverse associazioni, anche della pastorale penitenziaria, hanno chiesto di applicare misure penitenziarie eccezionali, all’altezza delle circostanze per evitare l’angoscia e la sofferenza psicologica dei reclusi.

Vilarrubias ammette che la situazione è molto delicata: “Soffriamo soprattutto per le persone che erano sul punto di uscire o che erano solo in prigione condizionale”. È cosciente dell’Importanza “che hanno per loro le visite” ed è certo che “gli manca la nostra presenza”.

Questo non significa che nella comunità claretiana di Balàfia-Lleida, Vilarrubias se ne stia a braccia conserte. Ha deciso di mantenere una corrispondenza con le persone che già accompagnava. “Per il momento non possiamo fare altro che scrivere lettere personali”.

Padre Josep collabora abitualmente con i padri mercedari e celebra l’eucarestia un sabato al mese: una per gli uomini e una per le donne. Un momento di preghiera condivisa. Ma ciò che più apprezza dell’esperienza in prigione è il tempo che dedica, ogni settimana, a stare con loro. Parlano e si scambiano opinioni. “È molto bello perché possono scaricare angosce, soprattutto chi non ha famiglia”.

Mette l’accento sulla piccolezza del gesto: “Una parola, un sorriso, qualsiasi dettaglio è molto importante per queste persone, sono assetati di vita”. Questo contatto umano è un beneficio reciproco: “A loro va molto bene e noi ne usciamo arricchiti”. Si riferisce al fatto di imparare ad ascoltare e comprendere.

Durante questo percorso ha conosciuto “casi molto estremi”, passando da persone che erano nel posto sbagliato al momento sbagliato a altre probabilmente innocenti, alcune delle quali in carcerazione preventiva. Padre Vilarrubias ci tiene a sottolineare le visite che fa regolarmente nell’infermeria del penitenziario. “Sono soprattutto persone con problemi mentali. Le conversazioni risultano curiose ma anche molto illuminanti, malgrado possa sembrare strano” racconta. “I volontari del carcere sentiamo il battito di questa gente”, dice Vilarrubias.

Un’esperienza che lo arricchisce e l’aiuta anche nel tratto con la gente della comunità cristiana di Balàfia-Lleida. “La prigione – conclude – ti insegna che prima di giudicare qualcuno, conviene ascoltare e comprendere”.

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